La playlist di The Economist sul mondo della moda

La playlist di The Economist sul mondo della moda

Sul canale YouTube di The Economist c’è una playlist di 5 brevi video che riguardano il mondo della moda, i grandi temi ambientali e i trend futuri.

La playlist si chiama Getting the measure of fashion industry : i video sono in inglese, ma facilmente accessibili grazie all’uso di immagini molto evocative e grafici.

Per ciascun video ho fatto un breve riassunto dei principali temi affrontati.S

Fashion’s naked truth, ovvero La nuda verità sulla moda

Un video di poco più di un minuto per riassumere in numeri e in tonnellate l’effetto dell’industria della moda sulle persone e sul pianeta, il vero “fashion victim”.

Alcuni dati: la produzione è cresciuta del 400% rispetto a 40 anni fa e l’intero settore moda conta oltre 300 milioni di addetti.

Tutto questo si traduce in inquinamento, con un rapporto di 1:23, ogni chilo di tessuto prodotto vengono emessi 23 kg di gas serra.

La produzione tessile è altamente inquinante, tanto da venir paragonata all’insieme dei voli internazionali e del trasporto marittimo, con l’amaro risvolto che ogni anno si gettano via tonnellate di abiti, a volte mai utilizzati.

The future of fashion

L’intelligenza artificiale e il “cognitive computing” possono aiutarci nella fase di stima e previsione dei futuri trend nel settore moda. Questo si potrebbe tradurre in una più accurata stima di vendita e di produzione, evitando enormi sprechi in termini di risorse e riducendo l’impatto ambientale.

H&M ha recentemente dichiarato un importo pari a 4.3 miliardi di abbigliamento non venduto.

L’intelligenza artificiale subentra anche nel campo del design, analizzando “big data” a partire dai milioni di foto postate direttamente dagli utenti. Non è lontano neppure il momento in cui un body scan analizza le nostre misure per assicurarci vestiti dalla taglia perfetta, come cuciti addosso.

The true cost of fast fashion

Ogni anno in Gran Bretagna si stima che vengano gettati in discarica circa 300 mila tonnellate di abiti, che si aggiudicano il titolo di ” categoria di rifiuti a più alto tasso di crescita”. La qualità degli indumenti tuttavia è drasticamente diminuita.

Per ovviare al sistema dell’acquisto compulsivo nei negozi di Fast Fashion a piccolo prezzo, si stanno diffondendo negozi in cui ” noleggiare” abiti, anziché comprarli.

Un esempio di sharing economy

“Rent the Runway” al suono di “Buy Less- Wear More” è una piattaforma che permette di noleggiare abiti, in base al piano/costo prescelto . L’obiettivo è di cambiare la relazione che le persone hanno con gli abiti, promuovendo un uso più frequente, anche condiviso tra più persone, circa 10 milioni di utenti!

“Non comprate questa giacca!” – Patagonia va in controtendenza

Patagonia produce abbigliamento sportivo e outdoor e nel 2011, in occasione del Black Friday, pubblicò una campagna pubblicitaria shock “Don’t Buy this jacket!”. Questo Brand promuove un acquisto consapevole, ma soprattutto la riparazione dei capi.

Fashion’s toxic threads

La moda è considerata il secondo settore più inquinante dopo il petrolio.

Le acque soprattutto sono state devastate: i fiumi in Asia sono stati inquinati e le micro plastiche abbondano negli oceani.

Microplastiche

Il Prof. Richard Thomson, biologo marino, ha coniato il termine micro plastica ed è considerato il padrino di questo ambito di ricerca. Poliestere, nylon e acrilico sono fibre costituite da plastica e di queste si trova traccia all’interno dell’intestino dei pesci: detta in altri termini, i pesci hanno ingerito questi filamenti e gli effetti sulla catena alimentare e sull’uomo sono ancora sconosciuti.

Esempi celebri: Finisterre & Ecoalf

Finisterre è una BCorp e brand di abbigliamento sportivo con in mente un design fatto per un prodotto sostenibile, in cui si fa largo uso di poliestere riciclato e lana.

Ecoalf è un marchio spagnolo che produce sneakers e abbigliamento in plastica riciclata, a partire dalla plastica raccolta in mare durante i processi di pesca nel Mediterraneo.

What will people wear in the future?

La nuova frontiera sono i nuovi tessuti, in alternativa a quelli di derivazione plastica. Start up lavorano alla creazione di seta o pelle artificiale, creati in laboratorio con colture di funghi, lieviti e … ananas!

Il ruolo della tecnologia non si ferma qui: con il “textile computing” o “smart fabric” la tecnologia si indossa letteralmente. I filamenti di tessuto sono combinati con sensori in grado di rilevare la temperatura corporea, il battito cardiaco e i movimenti.

L’intelligenza artificiale e il machine learning forniscono invece un’analisi e interpretazione dei trend futuri.

La mia opinione – Cosa ne penso?

La playlist si rivela interessante, piena di spunti e fornisce una panoramica abbastanza completa sulla situazione attuale e i possibili scenari futuri. Forse anche per la natura della rivista, l’impronta è di tipo economico, basata su dati e studi di settore. E’ ben inquadrato il tema ambientale, mentre invece risulta poco evidente l’impatto sociale esistente sui paesi dove si svolge la produzione.

Martina

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